Melisenda, l'amor lontano

Melisenda
Roberto Gagliardi
Data di pubblicazione

Sì, certo. Il Medioevo è il nostro "amor lontano", quell'amors de lonh cantato dal tenero Jaufre Rudel, principe di Blaia, nella più famosa delle sue poesie, Lanqan li jorn son long en mai: il testo sul quale ignoti romantici dell'Età di Mezzo hanno costruito una languida favola del suo amore per Melisenda, contessa di Tripoli in Soria.

Allor che i giorni son lunghi a maggio
cantano dolci gli uccelli di lontano,
e se poi via di lì faccio viaggio
mi risovvengo di un amor lontano.

Di desiderio vado mesto e chino
tanto che canto o fior di biancospino
non mi è più grato che inverno gelato.

Non è quindi un caso se a Jaufre è stata intitolata l'Accademia di cui L'Unicorno vuol essere l'organo di collegamento, e che ha nell'appuntamento estivo di Gradisca d'Isonzo la sua manifestazione più impegnativa. Attraverso i corsi di musica medievale, attraverso la preparazione di uno spettacolo tratto da un testo di quei secoli, attraverso la riproposizione di cibi che allietarono le mense forse di Eleonora di Aquitania e di Bonifacio VIII, un po'di Medioevo ritorna, per noi e per chi insieme a noi lavora all'evocazione di questo fantasma sfuggente e amoroso.

Cerchiamo Melisenda, il suo sorriso, il suo profumo. Ma non per fuggire dal mondo, da questo mondo che è comunque nostro, nel bene e nel male. Il Medio Evo è il nostro "amor lontano", ma non pensiamo che esso sia, in qualche modo, "attuale", o che sia possibile e giusto sognarne l'impossibile restaurazione. Il mito medievale ci ammonisce, del resto: quando Jaufre si mise in mare per congiungersi con la sua amata, il destino di morte lo colse all'approdo sulle spiagge del Libano, e solo negli spasimi dell'agonia egli riuscì a contemplare la donna che aveva acceso il suo cuore. E noi non siamo romantici che si esaltino di fronte al binomio amore/morte: la filosofia medievale ci ha insegnato a leggere nelle favole l'insegnamento segreto. Che in questo caso è limpido: Melisenda non esiste.

Ma noi la amiamo, Melisenda. Proprio perché non esiste: il Medio Evo è il tempo che ha costruito questo tempo in cui ci è toccato in sorte di vivere, col suo bene e col suo male. Quello che cerchiamo nel Medio Evo sono i sapori che hanno costruito i sapori dell'oggi, i versi che hanno aperto mondi in cui ancora ci aggiriamo, le note di quella musica che unisce Guido d'Arezzo a Schoenberg, Giacomo Puccini a Guillaume Dufay. Per impararne le somiglianze e le differenze: e cercare così di conoscere meglio la nostra epoca, e noi stessi.

Per scoprire le radici del presente ci tuffiamo volentieri nel passato: e meglio se a stimolarci a questa ginnastica dello spirito giunge talvolta la figura luminosa di midons, evocata magari da un lai. Sappiamo che è un sogno, ma sappiamo anche che è un sogno che parla ancora al nostro cuore; e a salvarci da ogni bieco sentimentalismo ci sono le beffe atroci giocate a Calandrino dai suoi amici, le tante Alatiel e i tanti Lancillotti che nei romanzi e nelle novelle medievali rincorrono le gioie della sensualità, le parole giocose di Francesco, il pensiero forte di Tommaso d'Aquino o di Guglielmo d'Occam.

Così talvolta ci accade di sperderci in lande lontane. Cerchiamo Melisenda, o il Graal, ma sappiamo anche dove siamo: nell'Europa che nasce. Alle nostre spalle c'è il grandioso disegno dell'Impero, con la sua feconda mescolanza di universalismo e di particolarità. Un fiume scorre vicino a noi, quello dell'Islam, e nell'acqua di quel fiume ci bagnamo volentieri. Spesso quel fiume si colora di sangue, nostro o saraceno non importa: ma è anche facile traversarlo, e trovare amici sull'altra sponda. Loro sono feroci, stolti, avidi, esattamente come noi; e come noi, cercano di costruire il villaggio umano.

Melisenda, lo sappiamo, abita vicino alle sorgenti di quel fiume. La cercheremo come Jaufré: non per trovarla davvero, ma perché la ricerca, la quest, è ciò che dà un senso all'esistenza, definita dai saggi un cammino. Useremo l'unicorno anche per questo. non dimenticandoci mai che solo una vergine, secondo il mito, poteva domare quella splendida cavalcatura: e verginità significa, come dicono i saggi, purezza del cuore e della mente.

Note Bibliografiche

L'Unicorno, anno 1, n. 0, gen - mar 1990