In molte tombe franche di epoca altomedievale, in particolare nel periodo che va dalla seconda metà del secolo V alla prima metà del secolo VII, si trova un elevato numero di esemplari di scuri, che, nate come strumento comune di lavoro, devono forse il loro sviluppo come scuri da lancio alla valorizzazione di utilizzi forse casuali. Eppure, come si evince dalle fonti di epoca altomedievale, tale arma, a noi giunta con il nome di Francisca, finì per diventare una sorta di “arma nazionale” del Popolo Franco. Le fonti scritte pertinenti sono state consultate, innanzitutto da J.J. Chiflet, relativamente alla analisi dell’inventario della tomba di Childerico I, morto nel 482, scoperta in 27 maggio 1653 presso la chiesa di St. Brice a Tounai (Belgio), e identificata in base ad un anello con sigillo che riportava l’immagine e l’iscrizione Childerici regis; tali fonti sono state riportate nel suo “Anastasis Childerici I Francorum regis, sive Thesaurus sepulchralis Tornaci Nerviorum effossus”. Nel trattato il medico francese scrive “ Franciscam vocarunt Hispani, a quibus ad Francos ipsos transuit ea nomencaltio", facendo poi riferimento ad Isidoro Hispalensis (Cartagena 560 c.ca – Siviglia 4/4/636), il quale, a proposito dei Franchi, scrive: “secures signa sunt, qua ante Consules ferebantur … quas Hispani ab usu Francorum per derivationem Franciscas vocant”.
La Francisca è una delle armi che si incontra più frequentemente in tombe molto ricche di reperti, in particolare nel periodo che va dalla seconda metà del secolo V alla prima metà del secolo VII; questo ritrovamento, spesso legato anche ad una certa ricchezza degli accessori, pone però l’interrogativo se la tale arma possa ritenersi anche segno distintivo di una posizione giuridica, economica o sociale. A Colonia sono state ritrovate due tombe di bambini risalenti al sec. V, sepolti con due Francische da adulti, in altri casi, sempre in tombe di bambini, sono state trovate tali armi in miniatura, alcune delle quali senza il foro per l’immanicamento, e questo potrebbe forse indicare che si trattava di accessori funerari di carattere simbolico o rituale, forse proprio legati all’elevata posizione sociale del defunto.
Se i collegamenti tra fonti scritte e i ritrovamenti archeologici creano spesso più di qualche contrasto, nel caso della Francisca la disputa è ancora più complicata. Il termine Francisca viene citato solo una volta nelle fonti relative all’epoca in cui l’ascia da lancio franca veniva usata, e precisamente da quell’Isidoro di Siviglia già richiamato, più spesso nei secoli successivi. L’importante storico franco Gregorio di Tours (538 – 594) usa soprattutto il termine “bipennes Secures”, ma senza descrivere l’arma o il suo utilizzo. Secondo Procopio di Cesarea, autore di una “Storia delle Guerre”, al seguito del generale Belisario durante la Guerra gotica combattuta fra Ostrogoti e Bizantini (535-553), durante tale conflitto i Franchi di re Teodeberto, entrati in Italia in violazione dei trattati stipulati sia con gli Ostrogoti che con i Bizantini, portarono, come arma dei fanti, una scure molto tagliente su ambedue i lati, con un manico che sorprese l’autore per la sua scarsa lunghezza. Anche Agathia, nella sua opera "Sul Regno di Giustiniano", che comprende una cronaca delle guerre in Italia (552-558), sostiene che i Franchi portavano una scure a doppio taglio. Se queste fonti scritte potrebbero far pensare alla Francisca come ad una scure bipenne, va però precisato che di questo non si ha riscontro effettivo nelle tombe franche, dove, al contrario la ricerca archeologica ha fin qui ritrovato solo scuri ad un taglio, anche se con due punte molto pronunciate; secondo E. Salin il termine doppio si riferirebbe proprio a queste due punte poste sulla stessa lama, ma l’affermazione appare comunque forzata, anche se appoggiata anche da analoghe conclusioni di altri studiosi come U.Dahlmos e E. Zollner. Forse è dunque verosimile, almeno fino a prova contraria, che il termine Francisca si riferisca ad una scure ad un solo taglio e che le espressioni “securis” e “bipennis” siano utilizzate come puri sinonimi, anche se la completa e definitiva identificazione della “Francisca letteraria” ha ancora bisogno di ulteriori ricerche.
In apparente soccorso di tale tesi appare comunque una vicenda narrata da Gregorio di Tours, nella sua Historia Francorum: la vicenda narrata riguarda un vaso prezioso che, insieme con altri ornamenti, era stato razziato dall’esercito di Clodoveo, prima che questi si convertisse al cristianesimo, ad una Chiesa di Soissons. Il Vescovo chiese al Sovrano che almeno quel vaso gli venisse restituito, e quest’ultimo promise che, al momento della divisione del bottino con gli altri guerrieri, se gli fosse toccato in sorte il vaso, lo avrebbe restituito, come richiesto. Clodoveo, dunque, durante la divisione del bottino, chiese espressamente ai suoi guerrieri che gli concedessero il vaso, senza trovare contrarietà, se non da uno di loro, che, al termine di un diverbio: “elevata bipennem urceum inpulit” (alzata la bipenne colpì il vaso), gridando che al Re non nulla spettava se non la parte assegnatagli in sorte. Clodoveo minimizzando sul momento l’affronto, preso il vaso, lo consegnò all’incaricato del Vescovo. Un anno dopo però, convocato nuovamente l’esercito e passando in rassegna le truppe, giunse proprio davanti a colui che l’anno prima aveva colpito il vaso e lo apostrofò per il pessimo stato in cui le sue armi, lancia, spada e scure, erano mantenute, e, strappata al guerriero la scure la scagliò a terra. Non appena l’altro si chinò per raccoglierla “rex, elevatis manibus, securem suam capite eius defixit” (il Re, alzate le mani, gli staccò di netto la testa con la sua scure), dicendo: “così hai fatto tu a Soissons con quel vaso” (Gregorio di Tours – La storia dei Franchi).
Passando ora alla struttura dell’arma, questa era per lo più slanciata, con una lunghezza della lama oscillante fra 11 e 22 cm circa; caratteristica la sagomatura arcuata dello spigolo superiore a forma di “S”, mentre quello inferiore correva con una piegatura più semplice. Il taglio, con un filo che si aggirava sui 10 cm di lunghezza, era, nella parte inferiore, spesso più slanciato verso il manico e mostrava due punte di forma pronunciata, con quella superiore spesso conformata in modo deciso. Nella gorbia veniva inserito un manico di legno, probabilmente arcuato, le cui dimensioni variavano fra i 35 e i 45 cm, a formare con l’asse centrale della lama un angolo ottuso non superiore a 115°.
Si tratta di un’arma adatta sia al lancio quanto al taglio, forse utilizzata in questo secondo modo nella forma più tarda del suo utilizzo. Questa conclusione deriva dalla considerazione che un’ascia da taglio ideale deve essere costruita in modo tale che l’angolo tra la linea mediana della lama e quella del manico risulti inferiore a 90°, essendo questo il punto di caduta più favorevole per sferrare il colpo. Alcuni studi fin qui condotti (E.Salin), poi ripresi e confermati dal Dahlmos, portano a considerare come soluzione ottimale, per un’arma esclusivamente da lancio, l’angolo di 135°; la Francisca, con i suoi 115° di media, spinge a considerare quest’arma adatta sia al lancio che al taglio. Questo sembrerebbe in qualche modo confermato dal fatto che, in molti degli esemplari ritrovati, la punta superiore appare spezzata, nonostante il buon livello qualitativo dell’acciaio, e tale elemento fa pensare che questa fosse la parte privilegiata con cui colpire il bersaglio.
Agli studi, relativi alle fonti scritte ed ai ritrovamenti effettuati, si sono affiancati, nel tempo anche quelli relativi alle modalità e tecniche di lancio della scure, con sperimentazioni effettuate da parte di diversi studiosi; una premessa che riteniamo si possa fare, in quanto verificata anche nel corso delle nostre sperimentazioni, è che la potenza complessiva dell’impatto dipende non tanto dal peso, che si aggira fra 0,2 e 1,3 Kg, ma dalla velocità con cui la scure viene lanciata; l’effetto su cose e persone doveva risultare devastante.
Risultano interessanti gli studi compiuti da G.Reissinger, secondo il quale, in caso di lancio, la Francisca veniva tenuta sul lato destro, col manico rivolto verso il basso e la lama nella direzione del bersaglio, e poi scagliata con un movimento rotatorio verticale, in modo tale da farla roteare. Registrazioni al rallentatore della traiettoria avevano dimostrato che la velocità di rotazione resta più o meno la stessa fino ad una distanza di 12 metri e che, a quella distanza, l’energia è ancora sufficiente a spaccare solide assi d’abete dello spessore di 24 millimetri, anche se dalla sperimentazione da noi svolta sul campo di archeologia sperimentale di Gradisca d’Isonzo, si è ricavata l’impressione che la scure, a quella distanza, possa spaccare tavole d’abete ben più spesse; le stesse registrazioni avevano inoltre dimostrato, e crediamo di poterlo confermare anche al termine della nostra sperimentazione, che la scure compia una rotazione completa ogni 4 metri circa.
Anche il lavoro da noi svolto ha confermato i risultati raggiunti dal Reissinger; la nostra sperimentazione ci ha però portati a conclusioni diverse in merito alla distanza di combattimento ottimale per quest’arma, poiché nelle nostre prove la distanza di 12 metri è stata ampiamente e più volte superata da diversi lanciatori, dimostrando la possibilità di colpire con buona precisione il bersaglio anche da 20 metri, a condizione di aumentare la potenza al momento del lancio e incrementando leggermente la parabola del tiro. Il risultato più eclatante è stato raggiunto, durante la nostra sperimentazione, da un ex lanciatore di giavellotto, che, grazie alla sua potente struttura fisica ed utilizzando una Francisca con un ferro di 900 grammi e con un manico di circa 35 cm, riusciva a colpire 8 volte su 10 un asse di legno posta sia a 25 che a 30 metri. In questo caso l’atleta aveva adottato una impugnatura della scure rovesciata, ossia con la lama rivolta in senso contrario alla direzione del tiro; tale tecnica si è rivelata molto adatta per la grande distanza, poiché determina una maggiore stabilità laterale dell’arma durante la rotazione, e presenta un miglior bilanciamento della scure nella mano di chi la scaglia. Ovviamente, dato il movimento rotatorio della scure quando viene lanciata, le distanze di tiro variano con lama rovesciata rispetto al lancio con lama dritta; dai 4 metri circa per una rotazione, si passa ai 6 metri per una rotazione e mezza (quando cioè la lama è rovesciata), dagli 8 metri circa per due rotazioni si passa a 10 metri per due rotazioni e mezza (lama rovesciata); val la pena di precisare che tali misure sono indicative, in quanto possono variare fra un lanciatore e un altro e dipendono anche dalla lunghezza del manico utilizzato (più si accorcia il manico, più le rotazioni sono vicine, mentre si allungano nel caso di manici di lunghezza maggiore).
Sull’utilizzo della scure con il tagliente rovesciato esiste una fonte grafica di notevole interesse, anche se lontana dal periodo in cui la Francisca era maggiormente utilizzata: troviamo infatti l’immagine nell’arazzo di Baieux, in una scena della battaglia di Hastings, in cui spunta dalla mischia una piccola scure verosimilmente nell’atto di essere lanciata, proprio con il tagliente opposto alla direzione di tiro.
Qualche riflessione, a nostro avviso, desta anche il concetto, espresso dal Reissinger, che il tiro debba essere effettuato da fermi; il tiro infatti può essere effettuato in questa posizione solo se si dispone di uno spazio retrostante libero, ossia se dietro al lanciatore non vi sono altri compagni, e quindi quando Procopio scrive …“ ad un dato segnale e sin dal primo scontro venivano scagliate simultaneamente in direzione del nemico”, vuol intendere forse che lo spazio per il tiro veniva creato, magari con qualche passo di corsa prima del lancio, come avviene per il giavellotto, cosa che imprime all’arma una notevole potenza in più, che le permette di raggiungere anche i 30 metri di distanza con effetti devastanti.